Ritorno alle origini parecchio nostalgico, ma anche malinconico e felice – ci possono stare insieme tutte queste sensazioni, solo apparentemente contrastanti – nell’ambito della ricerca della nuova casa milanese. E’ successo a Niguarda in via Grivola 18, dove sono cresciuto prima di andarmene da lì, poco dopo raggiunta la maggiore età. Nel complesso, il contesto attuale del sito è cambiato poco. Sono diversi i colori delle case di ringhiera – molto meno grigi e ora colorati – e sono stati aggiunti gli ascensori, uno (proprio quello dello stabile dove abitavo io, al primo piano) addirittura esterno, visione che contribuisce ad unire idealmente vecchio e nuovo, sorta di sorprendente skyline innestato sulla balconata, in ferro e in vetro: mi è parso qualcosa di molto bello, dal punto di vista architettonico.
Sono in visita a una mansarda di una serie ricavate dai solai: bella, luminosa e un po’ sghimbescia, sarebbe perfetta per un single ma non per due (e spesso tre) persone come siamo noi del nucleo familiare, fra poco di nuovo – finalmente! -meneghino. Ci rinuncerò, ma poi vado comunque negli uffici della cooperativa, che una volta era quella “di paulot”, dei paulotti, come venivano chiamati gli inquilini delle case “della democrazia” (cristiana), in contrapposizione a quella “dei comunisti”, non a caso edificata dalla parte opposta del quartiere per rimarcare differenza e lontananza ideologica; ora questi distinguo non esistono più ed è tutto diverso, a partire della gestione che ha molto poco del “servizio cooperativo” per un popolo da poco uscito dalla guerra, molto più votato invece attualmente all’imprenditorialità e sempre più simile ai concetti abitativi classico-borghesi, se non del tutto uguale. La signora che si occupa delle nuove locazioni è molto gentile e mi spiega i termini dell’eventuale accordo d’affitto con grande professionalità. Mentre parla mi guardo in giro, e in fondo al locale molto ampio scorgo una costruzione massiccia in legno scuro. E’ il casellario della posta che stava all’ingresso del complesso. Interrompo la mia interlocutrice scusandomi, mi alzo per avvicinarmi a qual mobile monumentale e vado a colpo sicuro con gli occhi a quella che era la nostra (mia) casella: la 37. Ci arrivo quasi in un balzo, la apro e guardo nel pertugio, quasi alla ricerca di qualcosa rimasto ancora lì dentro per tutti gli anni che non l’ho fatto più, di guardarci: almeno quarantacinque. Mi si stringe il cuore. Ogni volta che tornavo da scuola per arrivare a casa era la cosa che facevo sempre, con grande apprensione. Era così che mi arrivavano le lettere degli amici e della amiche un po’ da ogni parte d’Italia, preziosi lembi di carta che conservo ancora tutti, gelosamente, in un a scatola che non ho mai cambiato dalla prima missiva che mi arrivò, e che ho contrassegnato così: “Lettera n° 1”, spedita da mia cugina Loredana da Montagnana, paese d’origine di mia madre. Avevo 10 anni, e lei è stata la prima di cui mi sono mai innamorato nella vita ed era amore vero, sincero e tremolante. Infatti, le poche volte che ci siamo incontrati balbettavo e diventavo rosso come un peperone; poi, la distanza è stata superata per qualche tempo proprio dalle lettere che ci scambiavamo copiose, fitte di scrittura infantile ed episodi propri dei bambini. Con le scuole elementari l’amore è svanito, ma me lo ricordo vivido come fosse adesso. Poi ho vissuto per la prima volta il mare, a Silvi Marina, e così sono arrivate le lettere degli amori estivi, anche loro poi diluitesi nel tempo. A seguire anche quelle delle compagne e dei compagni conosciuti negli anni e sparsi un po’ da ogni dove, in Italia ma anche all’estero. Non ne ho smarrita una che fosse una: un accumulo di storia lungo nel tempo e bellissimo, meritevole almeno di un libro se mai mi tornasse la voglia di scriverne uno, ché adesso proprio non c’è.
Ci sono stato davanti a lungo a quella casella 37, e ho visto lo scorrere del tempo di un mondo che non c’è più, ma che basta tornarci con la memoria anche un solo attimo grazie a un “incontro” inaspettato per per ritrovarmelo davanti, tutto. L’ho accarezzata prima di richiuderla, le ho promesso che da quel momento la porterò sempre con me, e mi sono scusato per averla dimenticata così in fretta, cosciente di un comportamento invece imperdonabile. Non ho avuto il coraggio di dirle che il suo lavoro è adesso svolto da server che inviano mail poco concrete fisicamente, perché virtuali: vecchia com’è e del tutto priva di qualsiasi nozione di conoscenza digitale, sono sicuro che non avrebbe potuto capire.