Vai al contenuto

La forza dell’amicizia, il raccordo dei ricordi e un futuro senza perdersi più

“Ti ricordi di Carlo, Tiziano? Chissà che fine avrà fatto…”.

“Mariella, ma sono passati almeno 35 anni. Era l’estate del ‘78, più probabile quella del ‘79. Mica l’altro ieri…”.

“Sì, ma tu trovi tutti, se vuoi. Non stava Capena, che è vicino a Nerola. E allora?”.

“Ma per cercarlo ho solo il nome; per il resto non mi ricordo il cognome, non ho numero di telefono… Come si fa?”.

“E’ un peccato perché è stata davvero un’amicizia forte, per tutti e due. Anzi, tre: mi ci metto anch’io. Magari capita che vi incrociate…”.

“Ho capito, ma se anche succede come lo riconosco? Figurati come sarà cambiato… Dovrei conoscere qualcuno di Capena che conosce lui, ma chi conosco lì? Vabbé, lasciamo perdere. Magari mi viene incontro lui”.

Ci dicevano questo io e mia sorella solo a metà del novembre scorso, quando lei è venuta alla festa dei 90 anni di mia suocera Olga. Poi me lo sono dimenticato fino a ieri, non prima però di essermi fatto tornare in mente qualcosa – nemmeno poco – di quell’amicizia breve, ma molto intensa.

 

Ero sull’Adriatica e da Pescara tornavo a Silvi Marina, di pomeriggio, con la mia prima auto: una Fiat 1100 blu con cambio al volante, tipo rapina di via Osoppo. A Silvi ci andavo ogni anno in estate, allora come adesso appena posso: sono cresciuto in quel posto di mare dalle vacanze di terza media in poi, ed è rimasto un po’ la cartolina della mia gioventù andata, quindi quella dei sogni. Erano tempi in cui succedeva spesso di incontrare ragazzi e ragazze che chiedevano l’autostop; io li caricavo sempre e lo farei anche oggi, se non si trattasse di una razza pressoché estinta. Ero convinto che fossero tutti squattrinati, di sinistra e avventurosi; quindi, erano proprio come me ma senza macchina, e non perdevo occasione di farli salire. Anche quel giorno a bordo strada ce n’era uno e mi fermai immediatamente. Era appunto Carlo, e dopo dieci minuti sembrava fossimo stati amici da una vita. Andava a Silvi, naturalmente non aveva un soldo ma voleva vivere e farsi un’estate in libertà, la prima della sua vita; era anche qualche anno più giovane di me, e mi sentii subito un suo fratello appena più grande. Lo portai all’albergo dove c’erano anche i mie genitori, e bastò una cena per diventare uno di famiglia, e poi lo rimase anche per qualche giorno a seguire. Ricordo che io dovevo tornare quasi subito a Milano, e lui non sapeva dove andare; così tornammo insieme a Pescara e gli feci conoscere gli amici di Radio Cicala, che era la radio libera del posto. Lui dormì lì e visse anche il brivido dell’etere libero (erano gli albori) per almeno tre giorni. Poi subito, in settembre, venne a trovarmi a Milano; non gli feci mancare l’ebbrezza delle cene alla Trattoria degli Artisti e nemmeno le nottate a birra e whisky nel tempio della sinistra notturna di quegli anni, lo Stalingrado di via Biondi. Una volta di quelle mi scontrai ‘ideologicamente’ con alcuni conoscenti dell’Autonomia Operaia, e quando ci rimettemmo sulla strada di casa Carlo mi disse che non potevo permettere che mi parlassero a muso duro, come avevano fatto:

“Se c’erano con noi anche qualcuno degli amici miei, je davamo un sacco de botte, a ’sti stronzi!”.

Dissi che non era il caso, molto meglio che avessimo lasciato perdere: quella Milano era così, e magari (solo magari, però) la sera dopo si beveva un’altra birra insieme ed era morta lì, ma lui non se ne capacitava. Poi è successo che sono andato io a trovare lui a Capena, e mi ricordo le tagliatelle al sugo di sua mamma: buonissime le tagliatelle e splendida la mamma, tanto che quelle immagini ce le ho davanti agli occhi ancora adesso. L’ultimo nostro andare avanti e indietro è stato insieme, sull’autoarticolato di suo fratello, che mi sembrava un’astronave a dodici ruote. Su quel mostro il fratello di Carlo faceva spesso la linea Roma-Milano, così una notte abbiamo risalito l’Italia insieme: c’era una nebbia della Madonna ma nell’abitacolo faceva un caldo rassicurante, e lo stereo sparava a mille musica come se fossimo in discoteca. Non so com’è che quella volta non ci siamo spataccati contro un guardrail o addosso a qualche altro mezzo davanti o dietro vista la velocità che tenevamo in quella infinita coltre di bambagia grigia, ma l’avventura dell’autostop la rivissi così anch’io, e da posizione sopraelevata: il mondo sembrava qualcosa di piccolo e lontano che ci scorreva sotto, ed era come se lo dominassimo. E’ stata proprio quella l’ultima volta, e poi Carlo se ne è tornato a casa: è più che probabile che al momento dei saluti ci si sia abbracciati e detti che ci saremmo rivisti presto, ma invece non è successo e ci siamo persi, come spesso accadeva in quei tempi di poca connessione tecnologica.

Persi per sempre, ma solo forse e chissà.

 

Per quella festa di Olga devo dire che abbiamo combinato proprio tutto per bene. E’ stato un pranzo “a sorpresa” per lei, ed è riuscito al meglio. Nell’occasione si sono riuniti tutti i parenti, anche quelli che non si vedevano da anni e anni. C’era anche lo zio Lilio, che di Olga è stato una sorta di fratello minore e per qualche anno sono cresciuti insieme, da quando erano molto piccoli e anche più in là. Nel tempo si erano quasi persi anche loro, ma stavolta lui non poteva proprio mancare, come non potevano mancare le sue figlie, Eleonora e Simonetta. Eleonora è stata una compagna di giochi di mia moglie Igea per anni e anni. L’emozione, per tutti, è stata molto grande. Prima di salutarci Eleonora ci ha anche invitati tutti e tre (Igea, mia suocera e anch’io) al matrimonio di uno dei suoi figli, che sarebbe stato celebrato un mese dopo, proprio sotto le feste di Natale; a Olga disse anche questo:

“Quel giorno ci sarà anche Alessandro, che è stato un tuo alunno. Da quando ha saputo che ci saremmo rivisti non fa altro che parlarmi di te, e dei momenti di vita che si porta appresso dalle elementari. Non puoi mancare!”:

Olga – che è stata maestra in tanti posti di Roma e circondario – non si può ricordare di tutti i suoi alunni soprattutto adesso che la memoria annebbiata fa le bizze, ma a quell’appuntamento ha voluto assolutamente esserci anche proprio per rivedere quello scolaro che non l’aveva dimenticata. L’incontro fra loro è stato commovente, e per fortuna adesso invece ci sono i cellulari che imprimono rapidamente le immagini, e quando le hai scattate si possono poi portare appresso per sempre.

Alessandro, un signore delizioso e simpaticissimo – immagino oggi, come allora – alla fine della serata, mettendo le mani intrecciate dietro la schiena, al momento dei saluti ha detto a Olga:

“Sono stato bravo questa volta, signora maestra?” e mi ha commosso tantissimo, ché non scherzava per niente tornando inconsciamente e sinceramente all’antica postura di bambino delle elementari.

“Sei stato bravissimo!” le ha risposto lei, poi gli ha stampato un bacio sulla guancia e se n’è venuta via a braccetto con me, scuotendo la testa per la gioia di essere rimasta nella mente di quei suoi scolari, e sono convinto che se ne incontrassimo altri e altri ancora (com’è già successo, fra l’altro) ne sortirebbero solo conferme.

 

Una settimana fa Eleonora ci ha chiamato e detto che ad Alessandro sarebbe piaciuto venire a trovarci per incontrare ancora “la sua maestra”, così abbiamo organizzato e domenica sono venuti da noi, lei con Nicola e lui con Lorenza. Mia suocera stava finalmente meglio (l’ultimo mese è stato molto duro per lei fra influenza, tosse e mal di schiena) e si è anche impegnata nella conversazione in modalità allegra, come se non fosse successo niente nelle settimane prima: è sempre una gran signora, e per gente anziana di quella pasta le sofferenze si nascondono per quanto possibile. Ha resistito finché poteva poi è tornata a letto, e nel pomeriggio siamo rimasti noi a chiacchierare.

E’ stato solo allora, quando mi è stato chiaro che Alessandro aveva incontrato Olga come maestra nella sua Capena che mi si è accesa improvvisamente la lampadina, e gli ho chiesto d’un fiato:

“Scusa, ma tu conosci un certo Carlo a Capena?”.

Lorenza, la sua compagna, ha capito subito chi poteva essere e le si è illuminato il viso, ma Alessandro è stato più possibilista:

“Beh, di Carlo che stanno lì ne conosco un po’. Uno è forse il mio migliore amico. Perché?”.

“Tanti anni fa, almeno 35, ho conosciuto un Carlo che era di Capena. Più giovane di me, ma più o meno della tua età. Aveva i capelli ricci, parlava tantissimo e potrei definirlo più o meno di sinistra. Era d’estate e io gli ho dato un passaggio fra Pescara e Silvi, poi ci siamo anche frequentati per un po’: lui è venuto qualche volta da me, e almeno una volta io da lui. Te lo chiedo perché non so come trovarlo, e ci terrebbe tanto anche mia sorella Mariella”.

“Ma tu avevi a che fare con una radio?”, mi ha chiesto.

“Certo, ci lavoravo nelle radio. E a Pescara ce n’era una ‘gemella’ alla mia di Milano che conoscevo, e siamo andati insieme. Ah, poi mi ricordo che aveva un fratello camionista…”.

Alessandro ha respirato profondo, e ha detto:

“Allora è proprio lui. Sono sicuro perché mi disse che aveva dormito in una radio di Pescara…”.

“Era Radio Cicala, ti torna?”.

“Sì, proprio quella: ce lo ha raccontato per anni. E suo fratello fa il camionista. Sì, e il mio amico Carlo”.

“E sai come lo posso trovare?”.

“Subito, adesso lo chiamo e ci parli”, ha sorriso.

Alessandro ha cercato un numero dal cellulare, e ha chiesto soltanto a chi stava all’altro capo se per caso conosceva un Tiziano di Milano”.

Ho sentito anch’io la risposta, ad alta voce:

“Certo: Tiziano, il mio amico giornalista!”.

Allora, senza dire più niente, Alessandro mi ha passato l’apparecchio.

Dopo nemmeno mezz’ora Carlo, insieme a sua moglie, era con noi, a casa mia, e nelle due ore successive ci siamo raccontati un pezzo della nostra vita: quella vissuta insieme e (anche, in parte) quella che ci mancava di conoscere, per forza di cose e per intercorsa lontananza. Poi, abbiamo già messo in agenda la seconda puntata: andrà in scena molto presto.

 

Quindi, devo ringraziare la “maestra Olga” e il suo “scolaro Alessandro” per quello che hanno tenacemente compiuto nell’aiutare a rimettere – pur se inconsciamente, ma chissà… – insieme il puzzle che riguarda me e Carlo, dimostrazione della forza straordinaria che può comportare un legame connesso a un’amicizia. Pur se datata e apparentemente persa con il trascorrere degli anni, se è amicizia vera si rivela sentimento che non si spezza mai, per nessun ragione. Un vissuto del genere è (stato) forte, molto più forte di qualsiasi opposizione vi si possa frapporre, e io e lui ne siamo un esempio: molto plastico, ma anche parecchio carnale.

In una storia così il raccordo fra passato e presente si è compiuto nel migliore dei modi, in maniera del tutto inaspettata e persino quasi favolistica. La immagino come la chiusura di un cerchio che poi si riapre di nuovo ad un futuro, dove non ci si perde più: il modo più bello – direi – di ricominciare qualcosa che poteva sembrare chiuso per sempre, e invece lo era solo “forse”.