Chi non sta a Roma – e anche chi, pur abitandoci, non è del tutto avvezzo ai luoghi deputati come “istituzionali” – sicuramente non sa cosa sia né dove si trovi l’Enoteca Palatium. Si tratta di un locale ristorante proprietà della Regione Lazio messo bene nel mezzo di via Frattina, quindi – turisticamente, soprattutto – al centro del centro del mondo: una posizione da fare invidia a chiunque sia dotato di un minimo senso degli affari. La prima volta che ci sono entrato facevo parte dello staff dell’Assessorato all’Agricoltura della Regione, ed è successo in occasione di una delle conferenze stampa a cui avrei partecipato poi nell’ordine di decine in quel posto, per almeno tre anni durante l’amministrazione Marrazzo. Ero stupito, e lo sono sempre stato poi, della folla che partecipava a quegli appuntamenti: quasi tutti si spacciavano e registravano anche come giornalisti, ma per molti non si capiva di che testata (e l’esiguità degli articoli che poi uscivano successivamente confermava le mie perplessità). Chiesi ai colleghi spiegazioni sullo strano fenomeno, e quelli si misero a ridere: “Sono gli imbucati classici di queste occasioni – mi disse uno -. Leggono sul giornali dell’appuntamento e vengono per farsi una magnata a gratis”. In effetti, da questo singolare punto di vista i post-conferenza erano ricchissimi, enogastronomicamente parlando: vini di tutti i tipi e specialità regionali mangerecce da leccarsi i baffi; il tutto servito in modalità pantagruelica. E non erano gli unici intrusi, quelli: a far da corollario non mancavano nemmeno parenti, amici e impiegati dell’Ente, tutti molto presi nel loro ruolo di assaggiatori abusivi. C’era anche chi, mi ricordo, se ne usciva poi con qualche bottiglia di ottimo rosso sottobraccio e pezzi giganti di pecorino messi in tasca con disinvoltura, e nemmeno troppa vergogna.
Scrivo tutto questo perché è di queste ore lo “scandalo” (quando viene alla luce quello che tutti sanno ma hanno sempre taciuto, si grida “scandalo” all’unisono) discoverto sulla strana gestione dell’Enoteca, capace di accumulare quasi 2 milioni di euro di debiti negli ultimi quattro anni, in gran parte proprio da ascrivere alle fatture mai pagate dai vari amministratori che hanno fatto lauto banchetto personale di quel posto, salvo poi far mandare il conto alla Regione, che alla fin fine (con la nuova Giunta Zingaretti) se n’è accorta, e ha deciso di metterci un freno. Anzi, anche a decidere proprio di dire basta al banchettare infinito, e di mettere in vendita la preziosa location: un bando europeo sarà pronto a breve, e altrettanto velocemente immagino che qualche società comunitaria lungimirante ci metterà in quattro e quattr’otto le mani e la farà fruttare come si deve e può, ché in un posto così sarei capace anch’io anche se avessi il permesso di vendere soltanto noccioline e caramelle preconfezionate. Nel tentativo di far luce sull’allegra gestione, la nuova amministrazione regionale ha scoperto alcune perle fantastiche. Per esempio che il locale restava chiuso ad agosto, nel periodo di massimo flusso turistico (è una simpatica consuetudine, diretta eredità dei “privilegi” in uso alla Regione, che resta in gran parte serrata nel periodo agostano delle ferie: difficile da credere, ma è proprio così!) e quindi anche di possibile incasso. Ancora, che il presidente dell’Enoteca è lo stesso dell’Arsial – la società regionale che si occupa della valorizzazione dei prodotti della terra laziale – e che per questo chi si trovava in quel ruolo percepiva un doppio stipendio (ora capisco il perché del sorriso a 45 denti di quel presidente Arsial che ho avuto modi di conoscere anch’io). E, come chicca, che negli anni il locale (era bellissimo) è andato in pezzi ma ha aumentato a dismisura il numero di dipendenti, adesso in forza nel totale di venti, numero che basterebbe per una mensa militare di 500 posti invece che per un due vetrine che ne dispone a malapena di venti (ma il livello occupazionale, comunque, è già stato dichiarato che sarà garantito, e questo può solo fare piacere).
Quando gli amici in visita a Roma mi chiedono cosa si intende per “generone romano” finora risolvevo in fretta il problema portandoli a pranzo (a cena no: spesso era chiusa) proprio all’Enoteca Palatium, raccontando più o meno la storia che ho descritto qui, aggiungendo solo di guardarsi intorno e anche di “respirare” l’aria che ristagna lì dentro: un’idea esaustiva se la facevano sempre. D’ora in poi il gran peccato sarà che di posto adatto all’illustrazione del “genere-generone” ne dovrò trovare qualcun altro. Ma a ben guardare e anche pensare, mi devo arrovellare davvero poco davvero, e ho già in mente qualche altra meta sulla quale puntare. Per questo tipo di cose Roma è una città meravigliosa e ricca, capace di soddisfare le fantasie più recondite e di lasciare il resto del mondo a bocca aperta. Senza nemmeno bisogno di spingersi fino a quella della Verità.