In una delle tante presentazioni del mio libro “Fedeli a San Siro”, ormai qualche mese fa, ho avuto il modo e l’onore di conoscere alcune persone semplicemente meravigliose. L’appuntamento – nella fantastica cornice del Teatro Verdi, un gioiello artistico e architettonico di bellezza incomparabile: mai avrei sperato osare di trovarmi lì grazie alla semplice scrittura di un romanzo in coppia – era a Busseto, e dopo l’incontro, da quella sera, si è subito instaurato in maniera del tutto naturale uno splendido rapporto con qualcuno del luogo. Dire “qualcuno” è assolutamente generico e non rende merito a coloro di cui sto parlando, ma vedo di riscattarmi da qui in poi. Devo anche premettere che il tutto è cresciuto non per volontà mia, perché noi “cittadini” siamo troppo spesso abituati a incamerare e digerire tutto in fretta riducendo tutto quello che ci capita – anche di bello, bellissimo – a un mero ricordo e poi andiamo oltre, fra l’altro con il rischio (concreto, nella maggioranza dei casi) di dimenticare tutto con l’andare del tempo. Questa volta, per la volontà di quel “qualcuno”, non è successo. E non gliene sarò mai grato abbastanza.
La definizione che segue non è mia, ma l’ho volentieri fatta entrare nel mio gergo quando penso a Busseto, che è adesso diventato, per me appunto, “un piccolo mondo antico” del quale, in maniera del tutto fortunata e assolutamente lusinghiera, sono entrato a far parte con grande gioia e incredulità. C’è gente, lì (“quella gente”), che vive benissimo anche senza usare il telefonino, senza spedire mail se non raramente, e nemmeno risultare schiava di internet per quanto possibile. Infatti, se adesso devo comunicare con i miei carissimi amici Maria Teresa e Luciano loro mi inviano cartoline o lettere a mano, oppure periodicamente pacchettini infiocchettati con le specialità del posto o copie di libri e riviste che mi possono interessare (e tanto!), e fremono nell’attesa di una risposta, salvo restare sorpresi se questa poi arriva. Addirittura, qualche giorno fa una di quelle considero senz’altro (e son certo di non sbagliare) fra le massime autorità di Busseto, il professor Corrado Mingardi, mi ha reso partecipe di un suo evento personale inviandomi una lettera bellissima, accorata e personalizzata, impreziosendola di una copia fotostatica relativa ad un carteggio di Giuseppe Verdi, e procedendo lui anche alla “traduzione” del testo scritto per chi (come me) non è più avvezzo nel decrittare le calligrafie, soprattutto se svolazzanti e piacevolmente arcaiche come potevano esserle quelle dell’800. Giuro che nel leggere quelle righe mi sono commosso come poche volte altre mi era successo, per esempio anche nello scoprire che se si voleva enfatizzare la bravura del Maestro non bastavano le parole, ma penna e inchiostro disegnavano un viso a bocca aperta – quello degli astanti presenti all’esibizione – e meglio non c’era niente per comunicare l’emozione del momento, e son certo che quel tratto così espresso vale più di mille app o emoticon dello stereotipato oggi virtuale. Quella che posseggo adesso, grazie al professor Mingardi e all’amicizia immeritata con Maria Teresa e Luciano, è una chicca culturale e letteraria che conserverò per sempre – insieme a tutto il resto – nell’angolo più prezioso della mia biblioteca.
Voglio anche aggiungere che sono felice di essere entrato in quel mondo (piccolo, antico e anche nobilissimo) ogni volta che il destino me lo concede e l’amicizia si palesa tale rinnovandosi, anche se lontana e difficile da vivere di persona in maniera continuativa e fisica. Ma così è comunque fortissima, e mi ha fatto tornare con la mente e la memoria ai tempi quando si aspettava una lettera o un segnale postale; se poi l’invio era andato a buon fine si sapeva di essere meno soli potendo contare sulla presenza di affetti in altre e città e mondi lontani, e si sperava anche che queste vicinanze non sarebbero finite mai, anche se poi succedeva quasi sempre con l’incalzare del tempo che scorreva. Ecco, adesso ho imparato che i segnali di “queste persone” saranno per sempre, che potrò contare su di loro e senz’altro (lo prometto) loro su di me. Perché quando da adulti si torna un po’ alle abitudini del passato è come riavvolgere il nastro dell’esistenza per poi riannodarlo con tanti pezzi in più rimessi insieme. E ho capito anche che si può essere adulti senza dimenticare per sempre di essere stati anche altro “prima”, se solo si ha la ventura di entrare in un “piccolo mondo antico” che non ha messo mai da parte i sentimenti belli e puliti alla quale ci costringe un malinteso senso della modernità. Belle sensazioni ritrovate grazie a chi non le ha relegate nella soffitta del passato e le ha invece coltivate, decidendo un giorno – magico, per me – di farne dono anche ad altri perché potessero riviverle di nuovo e scoprirne il grande valore, apparentemente piccolo e – lo ripeto – antico, ma anche infinito. Come dovremmo non dimenticarci mai.
(a chi può interessare, mi scuso per la lunga latitanza estiva, e anche extra: una serie di problemi personali e familiari mi hanno tenuto lontano dallo scrivere da questo (sigh!) pulpito, personale. Ora spero però di riprendere, da stavolta, in maniera più continuativa, e di mancare poco all’appuntamento, invero più che piacevole. Ben ri-trovati!)