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Il processo Mediaset, la prescrizione saltata e i macachi furiosi

Per amor di precisione vorrei puntualizzare qui alcuni aspetti relativi al processo Mediaset,  ormai (e meno male!) in dirittura d’arrivo, nonostante tutti i bastoni fra le ruote che ha dovuto sopportare e anche dribblare. Anzitutto, che al giudizio della Corte di Cassazione si arriva all’ultimo grado processuale, il terzo, dopo che già si sono pronunciati altri Tribunali: in primo grado, e poi in Appello. Ancora, che a ricorrervi in genere è solo una delle due parti – accusa o difesa – quando non si ritiene soddisfatta dei verdetti emessi in precedenza. Arrivati quindi in Cassazione, la Corte si può pronunciare solo in termini di “metodo”, non di “merito”, cioè andando a verificare che i passaggi nei precedenti gradi di giudizio siano stati corretti dal punto di vista strettamente giuridico. Effettuato questa sorta di controllo, la Corte in questione “cassa” (cioè approva in via definitiva) le precedenti sentenze, o eventualmente le rimanda “indietro”, chiedendo uno svolgimento più corretto delle varie tappe di un processo laddove questo elemento non si fosse verificato in maniera del tutto corretta. In genere basta un cavillo, e proprio a questo regolarmente si aggrappano tutti gli azzeccagarbugli di professione, e non è un caso che il collegio difensivo di Berlusconi sia stato recentemente allagato all’avvocato Coppi, che è un campione nello scovare manchevolezze, anche piccolissime, nei vari passaggi delle udienze pregresse e nei dispositivi delle sentenze passate in giudicato. Attenzione, però: a chiedere alla Corte di Cassazione di pronunciarsi è in genere chi si ritiene danneggiato dai precedenti verdetti, e nel caso della sentenza dei diritti Mediaset non è certo stata l’accusa a farlo – che ha viste accolte tutte le richieste di condanna del nano – ma piuttosto la difesa. Quindi, la domanda semplice è: come mai tutta la marmaglia connessa al nano succitato si sbatte come una banda di macachi furiosi ai quali è stato ficcato un peperoncino piccante nel culo, quando invece dovrebbero tutti essere, da quelle parti, in fremente attesa di un verdetto che potrebbe smascherare il castello di carte che giudici e pm di parte hanno montato nei confronti di un povero innocente, da anni perseguitato da toghe comuniste? Prima si fa meglio è, o no? Così, ripeto: per amor di precisione e anche per spazzare via ogni sospetto che qualcuno sperasse nella prescrizione. Scongiurata, per fortuna e anche per l’onore (dovrebbe essergliene rimasto un po’) dell’imputato che grida al complotto. Anima bella.