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Tra vita (difficile) e viti (da abbattere): com’è utile la campagna!

In un momento particolarmente buio come quello che sto attraversando ho scoperto il valore terapeutico del lavorare in campagna. Quindi, fra un capitolo e l’altro del mio nuovo libro, nell’attesa di notizie professionalmente positive e anche di quelle in arrivo dai miei figli ormai emigrati mi sono dedicati alla “pulizia” del mio uliveto, quasi fosse un preludio a quella mia, ché bisogno di aria nuova ce n’è anche lì. Ho iniziato con lo sradicare quattro inutili filari di vite, incapaci di generare uva credo ormai da un lustro almeno. E’ stato faticosissimo, ma il segreto era identificare bene con la fantasia l’arbusto che mi trovavo davanti: ad ogni colpo di accetta sui rami – invero parecchio robusti – pensavo a qualcuno di umano in loro vece. Dunque, il primo a cadere è stato il fusto identificato con Brunetta (ero all’inizio e allora l’ho scelto piccolino, ma mi ci sono volute comunque una decina di mazzate), poi il ramo-Alfano, quello Santanché, e via di questo passo. Particolarmente facile l’espianto della Biancofiore (sarà stato anche per la vicinanza del suo cognome al mondo vegetale, ma volendo anche animale) per la quale sono bastati tre colpi ben assestati; semplicissimo invece quello dedicato al nano malefico: avevo ormai imparato bene la tecnica, così con due belle alzate e calate dell’arnese se n’è volato via che è stato un piacere. Sono riuscito così pian piano a coprire a colpi di mannaia tutto il panorama della mia avversione personale verso la destra che ha rovinato questo Paese – e credo di non aver dimenticato nessuno, men che meno Bondi, Cicchitto, Capezzone e La Russa –, ma mi rimaneva comunque ancora qualche alberello da buttare giù. Quindi mi sono venuti in soccorso Roberto Calderoli, Mario Borghezio, Stival e Boso, per non parlare di Dolores Valandro, mentre l’esponente di Sel (manco lo nomino) che poi l’ha insultata auspicando lo stupro suo ad opera di “venti negri assatanati” (testuale) mi è sfuggito perché le agenzie sulla sua nefandezza verbale sono uscite solo nel pomeriggio, sennò un rametto lo dedicavo anche a lui. Non sono mancati miei pensieri mirati a Roberta Lombardi e Vittorio Crimi, che hanno ispirato buona spinta al mio furore, mentre sulla sinistra in generale ho deciso di soprassedere: non ce l’avrei fatta ad infierire con lo stesso gusto, anche se più di un’idea ce l’avevo. Ma ho  rimosso.

Stanco ma soddisfatto, sono poi andato a vedere se i fichi erano maturi, ma per quello manca ancora un po’. Bene invece le pere, raccolte a borsoni; meno le albicocche, che quest’anno paiono non volerne sapere di gratificarci della loro dolcezza. Hanno invece già dato abbondantemente more e ciliegie, e continuano a farlo le rose: ogni volta che vado sul posto e guardo nella loro direzione ne sono spuntate di nuove e bellissime, in una splendida scala cromatica che va dal rosa pallido al rosso vivo, e anche queste son soddisfazioni mica male.

Al posto delle viti pianterò una decina di altri giovani ulivi che così andranno ad  aggiungersi agli ottanta già esistenti, sui quali peraltro fanno già capolino i primi frutti. La raccolta è prevista in novembre, e l’olio sarà ottimo come l’anno scorso. E speriamo che per allora il buio sia passato, così come la voglia di farmi giustizia da solo accanendomi su piante inutili, trasfigurate all’occorrenza in personaggi insopportabili. In fondo sono solo un po’ depresso, e ce la posso anche fare.