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Stracciaculo per sempre, e va bene così

A Milano, per le vie della mia Niguarda, incontro un antico compagno di scuola fin dalla elementari, poi anche “compagno” a tutto tondo negli anni più intensi del reciproco e comune impegno politico e giovanile. Grande sorpresa per il ritrovarsi del tutto inaspettato, baci, abbracci e pacche sulle spalle. Fra le altre amenità abituali in casi del genere, lui mi dice che è andato in pensione da un po’ e che adesso passa almeno metà dell’anno all’estero, fra un viaggio turistico di piacere e l’altro; soprattutto Tahilandia, mi confida, dove sarebbe stato uno dei primi italiani a “sbarcare” una trentina di anni fa, e a quanto mi ricordo il cristallino del mare e il calore del sole non era neanche allora fra i suoi interessi primari. Gli dico che un po’ invidio la sua mobilità del tutto sempre possibile, e chiedo anche come abbia fatto ad andare in pensione così presto. “Vedi – mi butta lì -, quando tu andavi a lavorare nei giornali stracciaculi e di estrema sinistra che leggevo anch’io allora, io accumulavo già i contributi. Adesso ho raggiunto il massimo e me la godo. Immagino invece che in quel periodo tu non hai messo da parte crediti per la pensione, anche perché non te ne fregava niente. E adesso eccoci qua: tu qui, e io là!”.

I “giornali stracciaculi” erano (nell’ordine) Quotidiano dei lavoratori (soprattutto il QdL: il mio ricordo professionale più bello, in assoluto), Lotta Continua e il manifesto, che poi tanto una schifezza non erano per niente: piuttosto, l’avanguardia del mondo che avremmo voluto, e parte di tutto quello che ha aiutato a cambiare questo Paese. Naturalmente, lui da allora è invece cambiato parecchio da tutt’altra parte svariolando da sinistra a destra, da quella parte fermandosi e, oltre che accumulare sacrosanti contributi buoni per la pensione, di quel nostro periodo mi ha detto che non salva quasi niente. Io, al contrario, quasi tutto: rivendico quello che ho fatto, e sono solo dispiaciuto che a un certo punto noi si abbia perso, ma nelle guerre è così che funziona. Non ho però perso la mia identità, anche se buona parte dei contributi per la pensione sì; anzi: non so quando andrò in pensione, se ci andrò e nemmeno quanto prenderò, se prenderò qualcosa. Per fortuna però ho continuato a fare il giornalista, e qualche merito – anche d’anzianità – l’ho comunque accumulato grazie proprio a quel periodo iniziale, tanto stracciaculo ancorché entusiasmante, e unico.

Difficile che finito con l’attivismo lavorativo (se mai finirà) io capiti comunque in Tahilandia, anche perché – se fosse strettamente per quello, ma non credo – non amo il mare se non quello di Silvi Marina (che non è acqua e sabbia e basta, ma memoria e nostalgia piuttosto, anche se ci vado solo) o al massimo della Grecia non insulare (con gli amici), e altre ragioni così pressanti che mi possano spingere così lontano in quello strano oriente non ne vedo, pur non difettando io di fantasia e voglia di conoscenza di tutto quanto mi è straniero. E’ che noi due – io e lui – siamo senz’altro diversi, e dovevamo forse accorgersene fin da allora. Di una cosa sono comunque sicuro: quello che ha barato non è lo stesso che vedo riflesso nello specchio ogni volta che mi capita di darci un’occhiata. Sarò pure strano, ma mi vado orgogliosamente bene anche adesso così, a tanti anni di distanza. Non gliel’ho detto però, ché è in partenza: non me la sono sentita d’inzozzargli la nuova, fresca ed emozionante avventura che lo attende con squallide battute da stracciaculo d’antan.